In biologia, un parassita è un organismo animale o vegetale che vive a spese di un altro. Seppur il regista coreano Bong Joon-ho abbia tentato in tutti i modi di evitare che la trama del suo ultimo film, vincitore della Palma d’Oro al festival del cinema di Cannes, venisse rivelata, è il titolo stesso a smascherarla. Ma non basta a rivelare ciò che si cela in profondità di questo film, dove in ogni frammento, in ogni scena, si aspetta sempre l’inaspettato, e Joon-Ho scava all’interno di un mondo frammentato e classista, dove la lotta diventa inevitabile.
La famiglia Kim vive in un minuscolo e sporco appartamento al di sotto del livello della strada. É alla continua ricerca di un lavoro e una rete wi-fi alla quale collegarsi senza essere scoperti, e sopravvive solo grazie a una grande forza di volontà e una strabiliante inventiva. Sarà proprio questa a portare il giovane Ki-Woo davanti alle eleganti porte della famiglia Park e, spacciandosi per un insegnante di inglese, col tempo riuscirà a portare tutta la sua famiglia nella lussuosa e ricca casa al di sopra della collina.
DENTRO LA CASA
La famiglia e la casa diventano i due fulcri sui quali Bong Joon-ho gioca per descrivere una estenuante lotta di classe. Il regista scinde i due mondi, portandoli all’esasperazione: da un lato i Kim vivono quasi sotto terra, tra la sporcizia e i cartoni della pizza, dall’altro i Park sfoggiano una vera e propria opera d’arte dell’architettura. Non è un caso che per raggiungerla Ki-Woo debba percorrere una lunga scalinata dai quartieri bassi e degradati fino alla collina dove dimorano le classi più abbienti.
La casa dei Park diventa il motore di tutta la storia. I suoi abitanti non sembrano prestare attenzione a quello che accade intorno a loro, si crogiolano in una risoluta ingenuità tanto da non rendersi conto cosa si celi al di sotto del loro sguardo. Restano immobili, ripetendo meccanicamente le stesse azioni e gli stessi gesti, non hanno le armi per affrontare coloro che hanno davvero vissuto nella miseria e sono pronti a tutto per riscattarsi.
La casa diventa l’organismo al quale il parassita si attacca, per mesi o anche per anni, e piano piano se ne ciba, distruggendolo dal suo interno, senza che i veri abitanti se ne rendano conto, fino a quando è ormai troppo tardi per salvare la situazione.
BUONI E CATTIVI
“Chi è l’intruso?” viene domandato sulla locandina del film. Esteriormente sembra difficile capire chi sia l’estraneo e chi non lo sia. Sembra facile anche farsi beffa dei ricchi, manipolarli con un’acconciatura più ricercata e una dialettica impressionante. “Tu mi vedresti bene qui, in mezzo a voi?” chiede Ki-Woo alla più giovane abitante della casa, come se basti veramente poco a mutare e trasformarsi da parassita a farfalla.
Ma il castello di bugie non può che crollare, perché è difficile se non impossibile rinnegare chi si è davvero. E basta un odore, inconfondibile e pungente per rendere evidente quale sia il passato dei Kim e da dove provengano, un odore che si cela al di sotto degli abiti eleganti e delle belle parole, impossibile da mascherare perché mostra la vera essenza di ogni uomo.
Bong Joon-ho, pur descrivendo una “lotta” non ci porta su un unico cammino, facendoci patteggiare per gli oppressi o gli oppressori. Chi siano i buoni o i cattivi della storia non sembra una domanda che porta a un’univoca risposta, perché alla fine non ci sono vincitori ma solo vinti, i famosi “vinti dal destino” di cui parlava Giovanni Verga, che nel tentare di salire di classe non fanno altro che sprofondare sempre più in basso.
PIANTI E RISATE
Con dei forti richiami al dramma famigliare di Haneke e alla passione per il bizzarro di Lanthimos, Bong Joon-ho prende ispirazione a grandi autori del passato (con un riferimento scenografico legato a “Metropolis” di Fritz Lang, specialmente nella divisione tra mondo sotterraneo e in superficie), ma costruisce una storia stupefacente ma perfettamente e spaventosamente realistica nella sua follia.
Ogni scena racconta una storia complessa, ogni dettaglio sembra essere premonitore di quello che potrebbe accadere. Niente sembra lasciato al caso, ma anche quando si crede di aver risolto l’arcano ecco che Joon-Ho ci spiazza con qualcosa di inaspettato. La massima vena creativa la si ritrova in una sceneggiatura geniale e coinvolgente, e in una scenografia dalle due anime, fredda e spenta nel “mondo” dei Kim e aperta e luminosa non appena si mette piede nella casa dei Park.
Il regista non si limita a beffeggiare il mondo dei ricchi per venerare invece quello dei poveri, e ogni personaggio (a qualsiasi classe appartenga) viene presentato con una propria morale, descritto nei minimi dettagli. Ma non manca mai una vena di ironia che aleggia in tutto il film, accompagnata da scene sopra le righe senza che però si superi mai il limite, come se tutto fosse perfettamente calcolato.
“RESPECT!”
“Sono ricchi, ma gentili” “Sono gentili proprio perché sono ricchi”. “Parasite” è uno di quei film che apre la mente, che mostra una tranche de vie uscendo fuori dai canoni, unendo il disturbante a un black humour irresistibile. É una storia dove non ci sono protagonisti, perché i personaggi sono simboli di una snervante divisione tra ricchi e poveri, ambientata in una Corea del Sud dalla doppia anima, ma perfettamente trasferibile in qualsiasi paese occidentale, perché legata a una realtà contemporanea dilagante.
Per il regista, il nemico è solo uno: il capitalismo, simbolo dell’oppressione e della divisione, che porta via il rispetto che dovrebbe esserci tra esseri umani. Il capitalismo che porta all’individualismo, che sfascia le famiglie e distrugge tutto quello che è importante, senza che neanche ce ne si renda conto. Ed è inoltre un simbolo del desiderio, che i Kim stessi tentano di raggiungere, un mondo di cui inizialmente si prendono gioco ma dal quale, alla fine, non vorrebbero mai separarsi. A qualsiasi costo, anche al costo di perdere tutto.
La speranza ritorna solo sul finale, con una lunga lettera che Ki-woo scrive al padre, promettendo di proteggerlo sempre, da qualsiasi cosa. Ma uno straziante sguardo finale ci proietta di nuovo in un mondo dove tutto, anche se cambia, resta uguale, e dove forse la speranza è l’unico dono che ci resta.
VOTO 9/10