Bistrattato e (oggi) considerato un genere meramente commerciale, l’horror resta in realtà uno dei fulcri del panorama cinematografico contemporaneo. La grandezza di questo genere sta nel suo essere così eclettico, ricco di sfaccettature e sottogeneri che lo rendono così multiforme e aperto a un pubblico vastissimo che abbraccia gusti differenti.
Dallo splatter al torture porn, dal filone home invasion a quello dell’horror sci-fi, che lo si ami o lo si odi questo genere si dimostra particolarmente ricco e interessante. Uno dei filoni più affascinanti resta però quello dell’horror psicologico, al quale non è difficile dedicarci un discorso a parte.
Per “horror psicologico” si intende quel sottogenere che pone al centro dell’attenzione dello spettatore la componente (come da nome) psicologica del protagonista o del personaggio indagato. La paura che anima questo genere di film è data dall’incertezza che muove lo spettatore su ciò che accadrà in seguito. A spaventare non sono tanto mostri che saltano fuori da armadi o serial killer che smembrano le proprie vittime, ma un’indagine psicologica dei personaggi che disturba lo spettatore, immergendolo in un mondo caotico e assordante come lo è la mente del personaggio preso in esame.
Ansia, timore, suspense sono alcuni dei temi chiave dell’horror psicologico dove l’esitazione dell’osservatore diventa palpabile perché incerto su cosa accadrà nella prossima scena. La lista di film che animano questo sottogenere è infinita, ma personalmente sono 5 i film che più mi hanno tenuta incollata allo schermo. Ecco dunque i 5 film horror psicologici da non perdere.
BABADOOK
Scritto e diretto dalla regista australiana Jennifer Kent, “Babadook” si differenzia da molti film horror contemporanei per la sua capacità di turbare indicibilmente lo spettatore senza l’uso di quei cliché del genere divenuti ripetitivi. La trama è semplice: Amelia, madre vedova alle prese con un figlio problematico, vive una vita misera e solitaria fino a quando il bambino non trova un libro chiamato “Mr.Babadook”. Babadook diventerà poi una presenza fisica ed estenuante nella vita della famiglia.
Jennifer Kent apre le porte a un film dai forti tratti psicologici, dove la figura del mostro diventa simbolo della depressione che sta divorando piano piano la protagonista, costretta a una vita infelice dopo la perdita del marito. Babadook diventerà una figura salvifica per la madre e il figlio, che riescono ad affrontare i problemi psicologici e fisici sfidando questa entità. Un film potente e innovativo, dalla fotografia agghiacciante e con una colonna sonora indimenticabile, che elegge Jennifer Kent a nuova regina dell’horror contemporaneo.
SHINING
Considerato uno dei capolavori di Stanley Kubrick e al contempo giudicato dallo stesso Stephen King uno degli adattamenti più deboli, “Shining” resta senza dubbio uno degli horror psicologici cardine per il genere.
La storia parla dello scrittore Jack Torrance (Jack Nicholson) che deve trasferirsi con moglie e figlio nell’inquietante Overlook Hotel. Kubrick è riuscito a rendere ancora più iconica l’idea di passare l’inverno in questo hotel, un’idea già ben sviluppata nel libro.
Alla base vi è una gestione della tensione cinematografica di prim’ordine, con lunghi piani sequenza che rallentano l’azione rendendola sempre più disturbante e ricca di suspense. Il punto di vista del giovane Danny permette un’alta immedesimazione, facendoci sentire sulla nostra pelle il terrore che provano madre e figlio allo sbocciare della follia di Jack.
Inutile dire che uno dei punti chiave di questo splendido film resta proprio l’interpretazione immensa di Jack Nicholson che con il suo “Wendy, I said, I’m not gonna hurt you. I’m just going to bash your brains in” ha reso insonni le notti di molti amanti del genere.
MOTHER!
Darren Aronofsky si è più volte dimostrato un amante del genere horror psicologico, e i suoi film sembrano parlare per lui. Se “Requiem for a dream” e soprattutto “il Cigno Nero” hanno inserito il regista americano nella rosa dei grandi registi contemporanei, il suo ultimo lavoro, “Mother!” ha ribaltato le carte in tavola.
Fischiato alla 74esima Mostra del cinema di Venezia, il film ha diviso il pubblico tra chi lo ha definito un capolavoro e chi una banale accozzaglia di metafore senza una vera idea alla base. Con dei forti rimandi biblici, il film racconta la nuova vita di uno scrittore e la moglie, alle prese con la ristrutturazione della loro casa immersa nel verde. Ma l’arrivo di sgraditi ospiti farà in poco tempo degenerare la situazione.
Se la trama sembra risultare debole, è perché non si è ancora passati alla visione del film. Disturbante e a tratti angosciante, trascina lo spettatore nella spirale di terrore che prova la protagonista (una meravigliosa Jennifer Lawrence), che vede distruggersi davanti ai suoi occhi tutto ciò che ha costruito con impegno e fatica. Aronofsky sembra quasi vantarsi del suo operato, realizzando un film che a tratti si prende troppo sul serio ma d’altra parte crea un’esperienza indimenticabile per lo spettatore, nel bene o nel male.
IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI
Oscar a non finire per il film di Jonathan Demme del 1991, che vede protagonista uno dei serial killer più famosi del panorama cinematografico: il cannibale Hannibal Lecter. Tante sono le versioni cinematografiche e letterarie proposte per entrare nella mente di questo serial killer, ma poche inquietano e affascinano come quella realizzata da Demme.
La storia, che ruota intorno alla cattura di un altro famoso assassino “Buffalo Bill” sembra lasciare poco spazio alla figura di Lecter, che diventa però il cuore del film grazie alla magistrale e iconica interpretazione di Anthony Hopkins. L’attore sembra comprendere ed elaborare le manie che animano il personaggio, la sua eleganza che nasconde una ferocia animalesca data da dei “tic” ripetuti, come il sinistro suono che emette quando parla a Clarice (Jodie Foster) delle sue vittime.
La sua ferocia sta nell’essere completamente consapevole delle sue colpe, e di mostrarle come frutto di una sadica operazione artistica. Non c’è compassione nel suo sguardo, nessun rimorso per gli innocenti uccisi, ma anzi una cieca superiorità che rende la sua espressione ancora più spaventosa. Più che un film è un viaggio nella mente di un uomo non più uomo, offuscato da una cinica e (spaventosamente) razionale malvagia.
GET OUT
“Get Out” è sicuramente uno dei progetti cinematografici più interessanti in questa lista. Realizzato con un budget irrisorio rispetto a ciò che è riuscito a guadagnare, si tratta di un film diretto da un comico di grande successo in America, Jordan Peele.
Dai forti tratti satirici, Peele mette in scena in maniera iperbolica l’ipocrisia che anima buona parte dell’America bianca. Chris (Daniel Kaluuya, nominato all’Oscar per il ruolo) afroamericano fidanzato con Rose è pronto a conoscere la famiglia di quest’ultima, sulla carta progressista e di mente aperta. Il viaggio si rivelerà un climax disturbante di terrore, dal quale Chris tenterà disperatamente di fuggire.
Ricco di metafore e plot twist che scioccano lo spettatore, “Get Out” si presenta come una pellicola antirazzista, giocando però con i codici del genere dissimulando e stordendo continuamente il protagonista e lo conduce a una verità che non avrebbe mai potuto immaginare.
Insomma, a volte la mente si presenta come luogo ben più spaventoso di case abbandonate o cimiteri (parlando di cliché del genere), e genera una paura che si insinua sotto la nostra pelle. Ma, personalmente, è proprio questo che amo di questo genere, il vivere un’esperienza spaventosamente indimenticabile.
Viky.