Girls.. in science

Salve, amici di Attention Spoilers, oggi vi presento un articolo che avrei voluto pubblicare l’8 marzo.
L’ho slittato ad oggi, per ricordarci che le donne vanno apprezzate e stimate tutto l’anno, non solo un giorno su 365.

– martie

Le possibilità di sviluppo intellettuale riservate alle donne sono rimaste limitate fino a tempi recenti. Così imponevano le leggi e la società patriarcale, e dunque farsi spazio in certi campi del sapere, riservati agli uomini, era una vera e propria impresa. Risultati scientifici come quelli ottenuti da Ipazia di Alessandria (IV secolo) o da Mae Jemison (tuttora in vita) sono un’autentica anomalia del loro tempo. La maggior parte di loro non ebbe accesso a una formazione formale o fu costretta a condurre le proprie ricerche in segreto, poiché in alcuni casi fu vietato loro perfino l’accesso ai laboratori. Tuttavia, grazie alla tenacia e alla perseveranza, riuscirono a superare gli ostacoli che il sistema patriarcale pose sul loro cammino a causa del loro genere o della condizione razziale.
L’11 febbraio ricorre la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, una giornata per ricordare tutte le donne che hanno dato un contributo fondamentale alla storia della ricerca. Le loro storie sono fonte d’ispirazione, poiché dimostrano l’originalità del loro pensiero creativo e innovativo nonostante gli ostacoli. E anche se può sembrare un problema del passato, secondo le Nazioni Unite «il divario di genere nei settori della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica (STEM) persiste da anni in tutto il mondo. Sebbene la partecipazione delle donne ai gradi d’istruzione superiore sia aumentata notevolmente, esse sono ancora sottorappresentate in questi campi».

Ipazia di Alessandria
Fu la prima matematica e astronoma della storia ad avere i propri lavori documentati.
A 1.600 anni dalla sua nascita – avvenuta intorno al 370 d.C. ad Alessandria d’Egitto – il suo contributo alla scienza è ancora straordinario. Grazie ai suoi scritti, diversi trattati di matematica dell’antichità sono giunti fino ai giorni nostri. Tra questi, l’edizione degli Elementi di geometria euclidea ancora oggi in uso. Scrisse anche sull’Aritmetica di Diofanto, noto come padre dell’algebra, su un Canone di astronomia e sulla revisione delle Tavole astronomiche di Claudio Tolomeo, solo per citarne alcuni. Secondo il filosofo Sinesio di Cirene, migliorò l’astrolabio (uno strumento utilizzato per determinare la posizione delle stelle) e inventò l’idrometro e l’idroscopio. Le vengono attribuite anche l’invenzione del densiometro, dell’aerometro e di un apparecchio per distillare l’acqua. Grande oratrice, insegnò matematica a studenti pagani e cristiani. Nonostante la sua tolleranza, fu accusata di blasfemia e anticristianesimo dal vescovo Cirillo e venne brutalmente assassinata da una folla inferocita.

Ildegarda di Bingen
Conosciuta come la prima sessuologa della storia, la tedesca Ildegarda di Bingen (1098-1179) gettò le basi per lo studio della ginecologia e della salute delle donne. Oltre che naturalista e scienziata, fu filosofa, guaritrice, teologa, poeta e compositrice. In quest’ultima veste si dice che sia stata anche un’antesignana dell’opera. Da bambina confessò di avere delle visioni mistiche e a 15 anni fu ordinata suora sotto la regola benedettina. All’età di 38 anni una voce interiore le rivelò la sua missione: trasmettere la conoscenza del mondo attraverso la scrittura. Il Liber Scivias fu la sua prima opera, nella quale raccolse la propria visione cosmogonica, basata sulla tradizione greca. Più tardi nel volume Physica (Liber Simplicis Medicinae) descrisse gli elementi del mondo naturale – vegetali, animali e minerali – indicandone le proprietà utili per gli esseri umani. Infine, nel libro Causa et curae raccolse le sue conoscenze sulle mestruazioni e su sintomi come l’amenorrea, offrendo consigli sulla dieta adatta per ridurre il sanguinamento eccessivo.

Trotula de’ Ruggiero
Alcuni dubitano della sua esistenza o pensano che fosse in realtà un uomo, ma Trotula (1110-1160), nota come la prima ginecologa della storia, fu una donna in carne e ossa che visse a Salerno, dove all’epoca si trovava la più famosa università del mondo occidentale. Lì insegnò una materia che all’epoca era vietata ai medici: l’assistenza alle donne durante il parto. Il suo lavoro sfociò in due opere che hanno lasciato un segno nella storia della scienza. De passionibus mulierum ante in et post partum fu un libro trascurato fino all’inizio del XVI secolo, quando la stampa gli permise di farsi conoscere meglio e di ampliare così le conoscenze studiate su una nuova branca medica: la ginecologia e l’ostetricia. Scrisse anche un libretto sulla cosmesi femminile, De ornatu mulierum, che contiene consigli per migliorare la bellezza e l’igiene.

Maria Gaetana Agnesi
Nel 1748, a soli trent’anni, questa scienziata milanese pubblicò le Instituzioni analitiche per uso della gioventù italiana. L’opera, in due volumi, mirava a riunire in un unico testo i principi base dell’algebra e della geometria analitica, fino alle più recenti scoperte sul calcolo infinitesimale. Non solo fu la prima sistematizzazione aggiornata di questo genere a essere pubblicata in Europa, ma fu anche scritta in uno stile particolarmente conciso ed efficace, al punto da diventare una sorta di riferimento per la cultura scientifica italiana e continentale. L’accademia di Francia arrivò a definirla l’opera di matematica più chiara ed estesa in circolazione. Nei decenni successivi le Instituzioni vennero tradotte anche in francese e in inglese, e valsero a Maria Gaetana (1718-1799) l’apprezzamento entusiastico, tra gli altri, dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria e di papa Benedetto XIV. Due anni più tardi l’ancor giovanissima studiosa venne nominata dallo stesso papa docente di matematica e filosofia naturale presso l’Università di Bologna. Fu la prima donna a ricevere questo incarico, anche se come accadde ad altre scienziate, non le venne mai consentito d’insegnare.

Mary Anning
Anche se è ricordata come «la madre della paleontologia» o «la cacciatrice di fossili», in vita Mary Anning (1799-1847) non ricevette il riconoscimento che meritava. Povera e senza istruzione, da bambina accompagnava il padre a raccogliere detriti marini che poi vendeva ai turisti in visita nella sua sua città natale, nel sud dell’Inghilterra. Quando lui morì, lei continuò la sua ricerca tra pareti rocciose e scogliere scoscese. A 12 anni trovò un cranio che risultò far parte del primo fossile completo mai trovato di un ittiosauro. Seguirono i primi due scheletri di plesiosauro e uno scheletro di pterosauro, il primo al di fuori della Germania, oltre a vari fossili di pesci. Tuttavia, poiché era una donna, non le fu permesso di entrare a far parte della Geological Society of London. Furono scienziati maschi a scrivere articoli sulle sue scoperte, che furono poi pubblicati, senza nominarla, su riviste scientifiche. Ancora oggi, il contributo di Anning alla comunità scientifica non è sufficientemente riconosciuto. Grazie alle sue scoperte dei primi resti di dinosauro, sono stati possibili importanti sviluppi nelle idee sulle origini della Terra.

Ada Lovelace
Considerata la prima programmatrice, Augusta Ada Byron (1815-1852), contessa di Lovelace, fu la prima persona a scrivere un algoritmo adatto a un processore. Lo fece a partire dalla macchina analitica inventata da Charles Babbage, in grado di eseguire qualsiasi calcolo matematico. Oltre a spiegare come introdurre questo algoritmo e le operazioni che la macchina avrebbe dovuto eseguire per calcolarlo, scoprì che si potevano processare anche altri simboli, come note musicali o lettere. In altre parole, la «scienziata-poeta» – lei stessa si definiva così, essendo figlia del poeta romantico lord Byron – immaginò qualcosa che ancora non esisteva: il computer.

Marie Curie
Maria Salomea Sklodowska (1867-1934), nata a Varsavia, è stata la prima donna a ricevere un premio Nobel e la prima persona a vincerne due. Laureata in fisica e matematica alla Sorbona, dedicò la sua tesi di dottorato allo studio dell’irraggiamento spontaneo dell’uranio sulla base del precedente lavoro svolto dallo scienziato Henri Becquerel. Insieme al marito Pierre Curie iniziò le ricerche sulla radioattività che li portarono alla scoperta del polonio e del radio. Nel 1911 ricevette il premio Nobel per la fisica, condiviso con il marito e Becquerel. Nel 1906 ottenne una cattedra alla Sorbona, diventando la prima donna in Francia a ricoprire tale incarico. Nel 1911 vinse il premio Nobel per la chimica per i suoi progressi nello studio della natura e dei composti del radio.

Henrietta Swan Leavitt
Pioniera della cosmologia moderna, l’astronoma statunitense Henrietta Swan Leavitt (1868-1921) collaborò a svelare i misteri dell’universo. Dopo la laurea lavorò nell’«harem di Pickering» come «donna computer», un gruppo di donne dell’Osservatorio di Harvard guidato da Charles Pickering la cui ambiziosa missione era catalogare tutte le stelle del firmamento. Era un lavoro meccanico, sottovalutato e sottopagato, ma vi scoprì 2.400 Cefeidi, stelle variabili che brillano a intermittenza. Da questa scoperta stabilì la relazione tra luminosità e periodi di variazione della luce: più una stella era luminosa, più a lungo durava la sua pulsazione. La legge di Leavitt ha permesso di calcolare la distanza di stelle e galassie dal pianeta Terra, di determinare l’espansione dell’universo e di comprendere le scale cosmiche. Sviluppò anche un modello di misurazioni fotografiche e scoprì quattro stelle novae. Sebbene in vita il suo lavoro non sia stato riconosciuto, nel 1925 fu candidata postuma al premio Nobel.

Lise Meitner
Insieme a Otto Hahn scoprì la fissione nucleare. Tuttavia, la discriminazione di genere e le persecuzioni razziali giocarono a suo sfavore, e nel 1944 il premio Nobel riconobbe soltanto i meriti del suo compagno di laboratorio. Lise Meiter (1878-1968), svedese di origine austriaca, studiò fisica a Vienna e nel 1906 conseguì il dottorato. In seguito si trasferì a Berlino, dove misurò le lunghezze d’onda dei raggi gamma. Lo fece senza retribuzione e in uno scantinato, poiché le donne non erano ammesse in laboratorio. Nel 1938, dopo l’annessione dell’Austria alla Germania, le leggi antisemite la spinsero a rifugiarsi a Stoccolma. Meitner e Hahn riuscirono a fissionare l’uranio, una scoperta che aprì la strada per ottenere il rilascio di energia atomica, che servì come base per la successiva costruzione della bomba atomica: un progetto a cui la scienziata rifiutò di partecipare. Da quel momento in poi, pur avendo ricevuto ben cinque dottorati e diverse decorazioni, non lavorò più alla fissione e dedicò le proprie energie all’uso pacifico dell’energia atomica.

Alice Augusta Ball
All’inizio del XX secolo la chimica afroamericana Alice Augusta Ball (1892-1916) scoprì un efficace rimedio contro la lebbra che sarebbe rimasto in uso fino agli anni quaranta. Ma a ventiquattro anni morì, probabilmente di tubercolosi, senza poter pubblicare i suoi studi, di cui si appropriò invece il preside della sua facoltà, che non le tributò alcun riconoscimento. La donna aveva studiato chimica e farmacologia presso l’università di Washington e nel 1915 fu una delle prime afroamericane a conseguire una laurea specialistica in chimica, con una tesi sui metodi per estrarre ingredienti attivi dalle piante medicinali. Per questo fu chiamata a collaborare presso l’Università delle Hawaii dal dottor Harry Hollmann, che stava studiando l’olio della pianta di chaulmoogra, una sostanza con proprietà antibatteriche che all’epoca era tra i pochi trattamenti conosciuti contro la lebbra. Il metodo elaborato da Ball si rivelò subito molto più efficace e sicuro di qualsiasi altro trattamento per la lebbra disponibile all’epoca, e permise di dimettere dagli ospedali molti pazienti. Dopo la sua morte, a proseguire il lavoro di Ball ci pensò il suo supervisore, nonché preside della facoltà di chimica dell’Università delle Hawaii, Arthur Dean. Questi pubblicò un articolo con i risultati delle ricerche dove il nome di Alice Ball non era neppure menzionato. L’innovativa metodologia fu battezzata “metodo Dean”, e al suo sedicente creatore venne anche intitolato il campus dell’università.

Luisa Levi
Neuropsichiatra e tra le prime donne laureate in medicina del XX secolo, Luisa Levi (1898-1983) offrì un prezioso contributo alla società scientifica e civile. Nel 1962 pubblicò L’educazione sessuale: orientamenti per i genitori. Si trattava del primo volume dedicato a questa tematica: l’obiettivo era scardinare i pregiudizi legati al sesso e offrire ai genitori gli strumenti per indirizzare i figli verso un approccio libero da tabù e condizionamenti. La pubblicazione suscitò grande interesse: tra le varie testate che se ne occuparono ci fu la rivista Noi donne, che il 4 novembre 1962 ne parlò pubblicando un’inchiesta sul tema. Il pezzo sosteneva la linea dettata da Levi, secondo cui «l’educazione generale e sessuale deve iniziarsi nella prima infanzia e continuare ininterrottamente fino al completo sviluppo del giovane».

Rita Levi-Montalcini
Unica donna italiana ad aver vinto il premio Nobel per la medicina, Rita Levi-Montalcini (1909-2012) dedicò la sua vita alla ricerca in ambito neurologico, lavorando clandestinamente anche durante il fascismo. Fin dal primo anno di università lavorò come internista, nell’istituto di Giuseppe Levi, dove iniziò gli studi sul sistema nervoso. In seguito all’emanazione delle leggi razziali, la scienziata dovette abbandonare l’Italia, insieme alla famiglia e al suo mentore, e nel 1939 fu accolta come ospite presso l’università di Bruxelles. L’invasione nazista del Belgio la costrinse nuovamente alla fuga, e nell’inverno del 1940, di ritorno a Torino, istituì un laboratorio clandestino nella propria camera da letto. Malgrado i continui spostamenti e la clandestinità la scienziata non abbandonò mai le sue ricerche. Una volta finito il conflitto, nel 1947, Rita venne invitata a proseguire le sue ricerche negli Stati Uniti, presso la Washington University di Saint Louis. La donna trascorse trent’anni negli USA, insegnando per più di venti presso la prestigiosa università. Nel 1954 scoprì la NGF, una molecola proteica tumorale attiva nel sistema nervoso. Gli studi in merito, condotti insieme al collega Stanley Cohen, valsero a entrambi il premio Nobel per la medicina nel 1986, e risultarono fondamentali per la comprensione di alcuni tipi di tumore, così come di malattie come l’Alzheimer e il Parkinson.

Hedy Lamarr
Ricordata da molti come «la donna più bella della storia del cinema», Hedwing Eva Maria Kiesler, in arte Hedy Lamarr (1914-2000), elaborò la teoria dello spettro diffuso, precursore del wifi. Eppure anni prima, sulla scia della sua scandalosa carriera cinematografica – fu la prima donna a recitare in una scena di nudo – i genitori l’avevano costretta a sposare il fornitore di armi di Adolf Hitler e Benito Mussolini, Friedrich Mandl, che pose fine alla sua vita artistica. Lamarr, considerata assai dotata fin dagli anni della scuola, ne approfittò per studiare ingegneria; mentre escogitava un piano di fuga, acquisiva informazioni preziose sugli affari del marito. Alla fine riuscì a fuggire dalla natia Austria per raggiungere gli Stati Uniti, dove riprese la sua carriera nella settima arte. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale fornì al governo statunitense informazioni sugli armamenti dell’esercito tedesco. Assunta nel dipartimento di tecnologia militare, scoprì che i segnali radio della marina americana erano facilmente intercettabili, così progettò un sistema in grado di far saltare i segnali di trasmissione tra le frequenze dello spettro magnetico. Un metodo che viene ancora utilizzato per le reti mobili, il GPS, il Bluetooth o il wifi.

Katherine Johnson
Pioniera delle missioni speciali della NASA, il lavoro della matematica afroamericana Katherine Johnson (1918-2020) fu fondamentale per lo sbarco dell’essere umano sulla Luna. La segregazione razziale e la discriminazione di genere non le impedirono di calcolare le traiettorie dei primi voli spaziali statunitensi. Tra questi, il volo spaziale di Alan Shepard, il primo americano a viaggiare nello spazio nel 1961, a bordo del Mercury Redstone 3. Un anno dopo fu responsabile di verificare i conti del volo orbitale di John Glenn intorno alla Terra con la navicella Friendship 7. Inoltre, nel 1969 calcolò la traiettoria del viaggio che avrebbe portato Neil Armstrong sulla Luna a bordo dell’Apollo 11 e aiutò l’Apollo 13 a tornare sano e salvo sulla Terra con il suo equipaggio.

Rosalind Franklin
Grazie a una vocazione scientifica molto precoce, Rosalind Franklin (1920-1958) studiò e lavorò in alcuni dei migliori centri di ricerca del suo tempo. Una solida formazione nel campo della cristallografia le permise di applicare le proprie conoscenze a una delle grandi incognite dell’epoca: la struttura del DNA. Attraverso le straordinarie immagini da lei ottenute fu possibile osservare la forma elicoidale che oggi tutti conosciamo. Purtroppo il suo grande apporto non fu riconosciuto. James Watson e Francis Crick, due colleghi che lavoravano sullo stesso fronte nel Laboratorio Cavendish del King’s college, usarono le immagini e parte delle sue deduzioni per pubblicare l’articolo del 1953 che rivelava la tanto dibattuta struttura del DNA, un polimero a doppia elica. Dieci anni dopo i due vinsero il premio Nobel per la medicina. Ingannata e delusa, dopo la pubblicazione dei risultati di Watson e Crick Rosalind Franklin abbandonò il King’s college, ma non il lavoro di ricerca. Nel Brickbeck college concentrò i suoi sforzi nell’ambito della virologia, dove pure apportò dei contributi decisivi agli studi sulla struttura molecolare di virus come quello del mosaico del tabacco o della polio. Le sue scoperte sono ancora tenute in considerazione per le ricerche attuali.

Vera Rubin
L’astronoma americana Vera Cooper Rubin (1928-2016) fu la prima a trovare la prova della materia oscura. Laureata alla Georgetown University nel 1954 dopo molte delusioni accademiche, dedicò la sua tesi a chiarire se le galassie fossero uniformemente distribuite nell’universo. Dopo aver analizzato il comportamento di Andromeda, scoprì che la sua grande spirale ha una rotazione anomala. Dall’osservazione di molti altri oggetti celesti concluse che questa caratteristica fosse comune a tutte le galassie a spirale. Ne dedusse che, trasgredendo le leggi del moto di Newton, le stelle ai bordi si muovevano con la stessa velocità di quelle al centro. Si trattava di una materia – oggi sappiamo che costituisce l’84% dell’universo – che non interagiva con la materia ordinaria. Non emetteva nemmeno luce e poteva essere dedotta solo dagli effetti gravitazionali che le sue particelle invisibili generano sul movimento di altra materia, come le stelle o le galassie. I risultati di Rubin gettarono le basi per lo studio su larga scala della struttura dell’universo.

June Almeida
Con una scarsissima formazione istituzionale e ad appena 34 anni, June Dalziel Hart – poi Almeida, una volta sposata – (1930-2007) fece una scoperta che avrebbe cambiato la storia della virologia. Riuscì ad osservare al microscopio il primo coronavirus, che prende il nome dall’alone che lo circonda. Visti i suoi eccezionali risultati, Almeida decise di formalizzare la sua preparazione con un dottorato di ricerca presso la London Medical School e lavorando presso il Wellcome Institute for the History of Medicine di Londra, dove continuò a contribuire alla ricerca di immagini al microscopio. Nel 1980 scrisse un testo fondamentale dal titolo Manual for rapid laboratory viral diagnosis, dietro incarico dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Nel 1985 si ritirò dallo studio della virologia, ma tornò di nuovo in campo per contribuire a produrre microfotografie dell’HIV, il virus che causa l’AIDS. June Almeida morì nel 2007 all’età di 77 anni, ma le immagini dei suoi successi continuano a illustrare i libri di testo delle facoltà di medicina di tutto il mondo

Jane Goodall
Pioniera dello studio degli scimpanzé, Jane Goodall (1934) arrivò in Africa all’età di 20 anni ed entrò in contatto con Louis Leakey, antropologo, paleontologo e archeologo che organizzò spedizioni per raccogliere informazioni sui primati. Jane si recò nella foresta di Gombe, in Tanzania, per osservare gli scimpanzé. Le sue colleghe Dian Fossey e Biruté Galdikas studiarono rispettivamente gorilla e oranghi. Grazie alle loro ricerche, questo gruppo inaugurò gli studi di primatologia. In seguito Goodall conseguì un dottorato di ricerca a Cambridge, che le permise d’insegnare all’Università di Stanford. Nel 1961 ricevette una borsa di studio dalla National Geographic Society per finanziare le sue ricerche a Gombe. Lì scoprì la capacità degli scimpanzé di maneggiare oggetti e modificarli per adattarli ai propri scopi. Le osservazioni condotte a Gombe sui tratti distintivi degli individui e sul loro modo di relazionarsi e comunicare stati d’animo – raccontate nella sua opera Through a Window – rivoluzionarono gli studi nel campo dell’etologia.

Mae Jemison
Anche se a metà del XX secolo la sua sembrava una meta irraggiungibile, da bambina Mae Jemison (nata nel 1956) sognava di diventare astronauta. A quasi 36 anni divenne la prima donna afroamericana a viaggiare nello spazio. Due decenni prima aveva iniziato a studiare all’Università di Stanford, dove si laureò in ingegneria chimica e in studi afroamericani. In seguito si laureò in medicina alla Cornell University. Trascorse due anni, tra il 1983 e il 1985, come medico dei Corpi di pace in Liberia e Sierra Leone. Al suo ritorno negli Stati Uniti, dopo aver presentato domanda all’agenzia spaziale, fu una delle quindici selezionate su oltre duemila candidature. Il 12 settembre 1992 partì per la sua unica missione spaziale – durata un totale di 190 ore -, durante la quale condusse esperimenti sull’assenza di gravità e sulla cinetosi su sé stessa e sul resto dell’equipaggio. Mesi dopo lasciò la NASA e fondò il Jemison Group con l’obiettivo di lanciare un sistema di telecomunicazioni via satellite la cui missione era migliorare l’assistenza medica nei Paesi in via di sviluppo.

martie

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