Se penso a questo film nella sua complessità, potrei descriverlo in tre semplici parole: arte, dedizione, disperazione. Le stesse tre parole che userei per descrivere la vita di Van Gogh. In fondo, il film ti cattura e ti catapulta nel mondo del pittore, te lo fa vedere attraverso i suoi occhi, ti viene rappresentato come se fosse un quadro, come se fosse un suo quadro. In questo modo il film ti permette di ritrovare, non solo quello che era Van Gogh, ma anche una parte di te stesso. Il pittore, stanco di una Parigi circondata da un grigiore perenne, va alla ricerca di nuove bellezze, ma soprattutto di nuove sfumature di colori. Si reca così in Provenza, ad Arles per essere precisi. Qui, ispirato dalla natura circostante, inizia una produzione artistica di cui ricordiamo almeno 200 dipinti. Tuttavia questo stesso ‘stato febbrile’ che gli ha permesso di creare cosí tante opere, diventa l’origine dei suoi attacchi violenti e depressivi che lo accompagneranno fino al giorno della sua morte, nel 1890.
L’eternità dell’arte
Alcuni film biografici tendono a concentrarsi soprattutto sulla trama e sul suo sviluppo, proprio perché ne fanno l’elemento principale. In questo caso non è così. Nonostante la storia di Van Gogh sia raccontata con estrema sensibilità, il film gioca molto sugli aspetti tecnici, in particolar modo sulla fotografia, che risulta un equilibrio perfetto di colori e luminosità, ottenendo un risultato altissimo.Tuttavia, quello che davvero sorprende durante il film, è l’interpretazione di William Defoe, che riesce a captare l’essenza di Vincent Van Gogh, ma soprattutto ne comprende le emozioni e riesce così a rimandarle allo spettatore, creando con esso un legame profondo. Allo stesso modo, At Eternity’s Gate ci propone una nuova prospettiva verso quello che era il forte senso del dovere che il pittore aveva nei confronti dell’arte. Soprattutto, quindi, viene percepito lo stretto rapporto che Van Gogh coltivava con i suoi quadri, che mantenevano sempre qualcosa di unico e di estremamente diverso, come d’altronde unico e diverso era lo stesso artista. Il film, però, riprende con delicatezza anche la vita personale del pittore. Dolce è, per esempio, la rappresentazione dell’affetto che l’univa al fratello, un amore che ha reso il loro legame eterno e indistruttibile o ancora, la grande amicizia con il pittore francese Paul Gauguin. Soprattutto, però, il film riesce a cogliere l’anima tormentata di Van Gogh, la sua forte depressione e la sua insostenibile solitudine degli ultimi anni.
La cosa più bella dell’arte è che non morirà mai, che avremo sempre nuovi quadri da guardare, nuovi dipinti da ammirare, nuove sculture da elogiare. Ci sarà sempre della nuova arte, che ci porterà a comprendere ogni volta che la bellezza che ci circonda non deve essere data per scontata, mai.
Alla fine di questo articolo scritto da Benedetta qualche anno fa, ci teniamo ad aggiungere un video commemorativo per il suo compleanno che avviene proprio oggi 20 marzo.
Auguri Benny
Ci manca la grande donna che sarebbe diventata ❤️