Uncut gems. Diamanti grezzi. Pietre che all’apparenza non appaiono né belle né tanto meno affascinanti ma che al loro interno nascondono una ricchezza ineguagliabile. Il termine “diamante grezzo” è diventato però un luogo comune, associato a quegli individui che dimostrano immense qualità seppur all’apparenza ben poco visibili.
É così Howard Ratner (Adam Sandler), loquace gioielliere newyorkese ebreo che manda avanti con non poche difficoltà il suo negozio, nel quale rivende pezzi unici a prezzi esorbitanti. Ma non è la clientela a mancargli, tanto che uno degli acquirenti di punta è lo storico giocatore della NBA Kevin Garnett, pronto a spendere milioni di dollari per ottenere pezzi irrinunciabili.
Il gioco potrebbe anche funzionare se non fosse che Howard è sempre sommerso dai debiti. E più debiti accumula, più rischia la vita, inimicandosi individui alquanto pericolosi. E se ciò non bastasse Howard dimostra la sua estrema ludopatia, continuando incessantemente a scommettere su partite di basket, anche adottando scelte folli e sconclusionate, perdendo ancora più denaro del necessario.
SAFDIE BROTHERS
Questo spietato mondo nel quale Howard si inserisce è stato creato dalle mani abili e talentuose di due registi che sono in grado di spiazzare lo spettatore con le loro storie: Benny e Josh Safdie. Due registi newyorkesi che hanno dimostrato le loro capacità nella pellicola del 2017 che vede protagonista Robert Pattinson, “Good Time”.
Con dei forti richiami scorsesiani, i due registi si sono fatti strada nel mondo dei cortometraggi prima di giungere a Cannes con una pellicola acclamata da critica e pubblico, rendendoli delle promesse nel panorama del cinema contemporaneo, affiancandoli a cinefili come Ari Aster o Robert Eggers.
Già dalla precedente pellicola si sono dimostrati affascinati da protagonisti “sbagliati”. Che continuano, imperturbabilmente, a commettere errori su errori davanti allo sguardo scioccato dello spettatore. Howard Ratner è fastidioso, sornione, odioso ma diventa impossibile non entrare in empatia con lui, sperando fino alla fine che esca vincitore dalla sbagli che ha creato lui stesso, con le sue mani.
IL GIOCO DELLA FORTUNA
All’apparenza, è tutto un gioco. Non c’è razionalità che muove i personaggi, che non sembrano in grado di controllare i loro impulsi. Vengono mossi da qualcosa, da qualcuno che pare a loro superiore ed è anche il motivo per cui continuano a cadere in errore. La logica della finzione viene trasmessa anche dalla colonna sonora, dai suoni disturbanti e vertiginosi, tipica dei videogiochi degli anni novanta.
Ma forse c’è qualcosa che spinge i personaggi di questa storia: la fortuna. Se non c’è razionalità all’interno dei protagonisti (e in particolare in Howard) è qualcosa di esterno a ragionare per loro, facendogli credere che abbiano sempre la situazione sotto controllo, quando in realtà non è così.
La fortuna, il caso, il fato che diventa tangibile, personificato da quel “diamante grezzo”, l’opale nero che Howard riesce con estrema fatica a ottenere. Ma che perderà immediatamente, nel momento in cui diventerà il talismano portafortuna dello stesso Garnett, che non riuscirà a giocare senza quella fantomatica pietra.
E se i Safdie Brothers ci dimostrano che la sorte a volte funziona veramente, dando a Howard quegli inestimabili quindici secondi di gloria, sarà impossibile non scontrarsi con la cruda realtà, che se ne infischia di ciò che la fortuna ha predisposto.
ADAM SANDLER
Ma forse il vero diamante grezzo sta al di là della quarta parete cinematografica, in un insospettabile attore che grazie ai Safdie Brothers mostra veramente tutte le sue carte. Adam Sandler brilla in un ruolo che sembra quasi essergli cucito addosso da quanto sia in grado di renderlo realistico.
Reduce da commedie sia di successo sia certamente opinabili, sono parecchi gli scivoloni che l’attore ha dovuto vivere. Dovevano forse giungere in soccorso Benny e Josh Safdie che non solo hanno impiegato dieci anni per stendere la sceneggiatura completa, ma sin dal principio desideravano Sandler come protagonista della loro epopea cinematografica.
Dal personaggio infido e ambizioso di Howard Ratner escono quelle immense doti che Sandler è stato in grado di dimostrare con una maestria forse mai vista prima. L’ispirazione è sicuramente dovuta alla man ferma dei due registi, con una solida e cosciente idea in testa (sviluppata, dopotutto, in dieci anni), in grado di creare un mondo, una storia originale e brillante.
LA TENSIONE COME MARCHIO
L’avevano già dimostrato nelle pellicole precedenti, ma in questo film ne abbiamo avuto la conferma. I Safdie Brothers amano spingersi al limite, portando i propri personaggi sempre sul filo del rasoio.
L’uso della camera a mano, dei continui primi e primissimi piani e una sceneggiatura cacofonica e disordinata tolgono il respiro. L’ansia e l’incertezza per quello che accadrà, per le scellerate azioni che muovono forse inconsapevolmente i personaggi lasciano spiazzati gli spettatori, generando un turbinio di claustrofobiche sensazioni.
Il caso e il caos. Sono forse quesi i due marchi di fabbrica dei registi, che danno nuova linfa a un genere che si muove tra il dramma e il thriller, tra l’action e e i film ad alta tensione. E che sono in grado di creare dei veri e propri tranche de vie di quei personaggi che, all’interno di una città caotica e immensa come New York, altrimenti scomparirebbero.
8.5/10