“Extremely wicked, shockingly evil and vile” questo è il titolo originale del film: una frase pronunciata dal giudice subito dopo aver emesso la sentenza che condannò Ted Bundy alla morte sulla sedia elettrica; un titolo decisamente forte, che condanna le azioni di quell’uomo e che sembra quasi stridere con la trama del film, che ci mostra Ted non com’era realmente, ma come lui voleva essere visto.
La storia non è raccontata dal punto di vista di Bundy, ma da quello della sua fidanzata “storica”, Liz, che stava per diventare sua moglie quando venne arrestato la prima volta e pertanto non vediamo mai Ted pedinare, torturare, stuprare e uccidere le sue vittime, ma viene mostarto come una persona carismatica, affascinante e affettuosa (infatti si comportò quasi come un padre con la figlia di Liz, nata dalla precedente relazione della donna), qualcuno degno di fiducia.
Eppure in alcune scene il regista Joe Berlinger ci mostra la vera natura di quell’uomo che fuoriesce in piccoli e insignificanti atti quotidiani, come quando sta per avere un rapporto sessuale con Liz e si ferma qualche secondo a squadrarla, come a decidere se ucciderla o meno, un gesto che magari compiva anche con le sue vittime.
Il film non ci mostra solo questo, ma ci fa vedere anche l’immagine che i media, fondamentali in questo caso poiché quello di Bundy fu il primo processo trasmesso in diretta tv nella storia, davano di lui e in particolare come lo stesso Ted si ritraeva davanti ad essi: voleva sembrare innocente e ci riusciva davvero ed infatti, chi magari non conosce la sua storia, può essere indotto a pensare che lo fosse, nonostante la contraddittorietà di alcuni suoi comportamenti (perché un uomo innocente e sicuro di esserlo dovrebbe fuggire più volte dal carcere?) e questa immagine del serial killer come una specie di vittima continua fino alla fine quando, in una delle ultime scene, sotto la costante pressione di Liz che è andata a trovarlo anni e anni dopo la fine della loro relazione (Bundy stette nel braccio della morte per circa 10 anni), confessa il modo in cui ha decapitato una delle sue vittime, ma lo fa in modo particolare: non lo dice a voce, ma lo scrive sulla condensa del vetro che separa lui e la ex fidanzata e poi lo cancella.
Il film si conclude con Liz che, dopo essersi torturata per anni a causa della sua relazione con Ted Bundy, dopo aver faticato ad accettare che l’uomo che stava per diventare suo marito e che si era preso cura di sua figlia era la stessa persona che aveva ucciso in modi estremamente brutali più di 30 ragazze e dopo aver capito che le azioni di Ted non erano colpa sua e che tutto quello che poteva fare lei lo aveva fatto (infatti, come viene mostrato anche nel film, fu lei a fare il nome di Bundy alle autorità in seguito al rilascio dell’identikit della persona sospettata della sparizione di due ragazze ad un festival, ma inizialmente lui non sembrava corrispondere esattamente a questa descrizione, nonostante alla fine si scoprirà che era opera sua) e quindi, dopo tutta questa sofferenza, riesce a perdonare se stessa e ad andare avanti con la sua vita.
Nel film è presente un’altra donna che ebbe un ruolo chiave nella vita e nel processo di Ted Bundy: Carol Ann, la quale, innamorata di Ted da anni e mai ricambiata, gli offre il suo aiuto e qui il regista ci mostra l’abilità di Bundy nel manipolare le persone poiché lui non solo utilizzerà la donna per vari scopi, ma nella speranza di evitare la condanna a morte se il giorno della sentenza si fosse sposato, celebra un matrimonio quasi comico in tribunale, sotto gli sguardi attoniti dei presenti. Ovviamente tutto ciò sarà inutile: lui verrà condannato a morte e vedrà crescere la figlia nata da questa unione alquanto ambigua solo da dietro le sbarre.
L’accuratezza storica.
Il regista ha studiato approfonditamente il caso Bundy (è stato sempre lui a dirigere la mini serie “Conversazioni con il killer: Ted Bundy”) e questo emerge chiaramente nel film in cui, oltre ad inserire spezzoni dei filmati originali nelle scene in cui Liz segue il processo in tv da casa sua, ricrea le stesse identiche scene che questi filmati ci mostrano: Zac Efron (l’attore scelto per interpretare il serial killer) non solo è stato reso, grazie al trucco e ai vestiti, identico al personaggio che interpreta, ma fa i suoi stessi movimenti e l’attenzione ai dettagli è così curata che pare di vedere un filmato originale del vero Ted, tanto che, nelle parti in cui vengono mostrate le sequenze originali, diventa difficile capire dove finiscono le immagini del vero Bundy e iniziano quelle del film; anche molte battute pronunciate sia dal giudice sia da tutte le altre persone coinvolte nel processo (avvocati, giuria e lo stesso Bundy) sono esattamente le stesse pronunciate nel vero caso.
Il livello di recitazione è molto alto: Lily Collins, che interpreta Liz, è meravigliosa, ma la performance forse più intensa, oltre a quella di Zac Efron, è quella di Kaya Scodelario, che interpreta Carol Ann ed è letteralmente identica a lei, sia fisicamente (truccatori e costumisti hanno fatto un lavoro davvero incredibile in questo film) sia come modo di fare: guardando i filmati originali è praticamente impossibile distinguere la Scodelario dalla vera Carol Ann.
Il film non finisce con Bundy sulla sedia elettrica poiché il regista non vuole mettere in mostra i dettagli cruenti della storia (questo si nota anche nel fatto che non vengono mai mostrate le scene degli omicidi o i cadaveri), ma l’abilità di quell’uomo nel manipolare le persone e dipingersi in modo completamente diverso da com’era realmente.
Pertanto il film che ne viene fuori non mette lo spettatore in una posizione privilegiata (sa tutto, vede quello che gli altri personaggi non vedono), ma lo abbassa allo stesso ruolo che poteva avere una qualunque persona che, nel 1979, seguiva il processo da casa e sapeva solo quello che i giornali e lo stesso Ted dicevano e pertanto non poteva essere sicura che quell’uomo fosse davvero colpevole.
Eppure lo era ed era anche molto bravo a manipolare le persone; è questo il lato di Ted che il regista vuole farci vedere, non i dettagli violenti delle uccisioni che spesso diventano l’unica parte raccontata nelle storie di serial killer.
Prima dei titoli di coda, schermo nero scritte bianche, appaiono i nomi delle vittime conosciute di Ted Bundy, i cui nomi nel film vengono citati solo di sfuggita e i cui corpi non vengono praticamente mai mostrati, in segno di rispetto.
-Anna