In questo mese, se c’è una cosa per cui dobbiamo essere grati a Netflix, è l’aver aggiunto al suo catalogo quel piccolo capolavoro purtroppo ancora poco conosciuto che è American Honey.
Il film del 2016, scritto e diretto da Andrea Harnold, che può contare sul talento di Sasha Lane – scoperta per sbaglio dalla regista su una spiaggia a prendere il sole – e Shia LaBeouf (la chimica fra di loro è proprio uno dei punti di forza del film) è un viaggio alla scoperta del Midwest e dell’ipocrisia del sogno americano.
Star
“We’re all made from stars. From Death Stars”
Star, appena diciottenne, abbandona la sua famiglia disastrata in Texas per unirsi a un gruppo di venditori di riviste porta a porta, nella speranza che un vero lavoro possa davvero cambiarle la vita. È Jake a convincerla a unirsi al gruppo. Lo stesso Jake che è il migliore nelle vendite proprio perché capisce le persone esattamente come le capisce Star.
Quella che all’inizio sembra solo una momentanea alternativa al Texas e a tutto quello che Star vuole lasciarsi alle spalle, diventa subito un piccolo mondo in cui per la prima volta Star sembra trovarsi a suo agio. Un mondo di motel squallidi e strade che sembrano non finire mai.
Star capisce subito che per vendere riviste che nessuno vuole leggere, la miglior strategia è mentire, vendere sé stessi. Star però non ha bisogno di inventarsi una storia triste sulla sua vita, che ha già tutto in regola per poter essere considerata una storia triste. Così, Star elabora un modo tutto suo per guadagnare soldi, un modo che non prevede bugie ma solo una grande dose di coraggio che gli americani ricchi sembrano sempre apprezzare.
You are a real american honey
“You know what Darth Vader looks like beneath that mask? He’s a skeleton. Just like the rest of us”
Star racchiude in sé stessa l’essenza del titolo del film. Una dolcezza che poco si addice al posto in cui è cresciuta e alla vita che le è stata data. Eppure è quasi metaforico come nel film, le persone più sensibili siano quelle che non hanno mai avuto niente.
La regista inglese, in questo film non risparmia nessuno. Da un lato abbiamo i ricchi. Persone che vivono nel loro mondo fatto di stelle e multiproprietà. Persone che accettano di comprare le riviste che Jake e gli altri vendono, solo per potersi sentire in pace con sé stessi facendo, nella loro testa, un atto di carità nei confronti di quei ragazzi meno fortunati che sono nati con le tasche vuote in un paese che i poveri non li perdona.
Dall’altro lato abbiamo la povertà disumana di cui spesso ci si dimentica quando si pensa all’America. Motel sudici pieni di bambini che crescono da soli, città fantasma e cassonetti venerati come se fossero il reparto alimentari del supermercato. È proprio su questo lato dimenticato dell’America che Andrea Arnold sceglie di soffermarsi, con lo stesso modo delicato e quasi surreale con cui Star si è sempre approcciata alla vita.
Il mondo di Andrea Harnold
Un film che ha per protagonista una persona unica come Star non poteva che essere unico anche nel modo in cui la sua regista ha deciso di costruirlo.
È con mano abile che la camera da presa diventa il narratore di American Honey, dei viaggi nel furgone e le fughe in macchina, delle notti illuminate solo dalle lucciole e da un falò. Andrea Harnold non solo riesce a raccontare un viaggio, ma riesce a catturarne l’essenza, imprimendo in ogni fotogramma il caldo insopportabile dell’estate americana e il calore di una famiglia che Star questa volta è stata in grado di scegliersi.
Grazie al modo in cui la Harnold sceglie di girare il film, i continui primi piani seguiti quasi immediatamente da una panoramica dello spazio immenso dal quale Star si trova quasi sempre circondata, la regista riesce a cogliere la natura di Star. Il suo appartenere, non a un posto fisso, ma al viaggio, un viaggio che forse un giorno le permetterà di realizzare il suo sogno.
Un film che brilla di vita
Se cercate film che valga la pena vedere in questo periodo, American Honey è sicuramente uno di questi. È capace, come pochi film del suo genere, di trasportare direttamente lo spettatore fra le strade desolate e senza fine e quella natura quasi selvaggia a cui Andrea Arnold non riesce proprio a rinunciare. È un film che merita davvero di essere visto, non a caso ha vinto infatti il Premio della Giuria al Festival di Cannes. Ma soprattutto è un film reale che non romanticizza niente, servendo la realtà umana nuda e cruda, non per come appare, ma per come è realmente.
Voto: 9
Sara